Non tutti sanno che anche nella cittadina di
Caldarola (MC), da quasi 90 anni, vi è un monumento al grande filosofo Giordano
Bruno. La lapide di marmo e bronzo era originariamente fissata su una colonna
del porticato del Palazzo Pallotta nella piazza Maggiore (piazza Vittorio
Emanuele II). Durante il ventennio fascista, essa fu tolta dall'originale sede e
murata su una parete nell'atrio dello stesso palazzo, attuale residenza del
Municipio. Prima di vedere come si svolse l'inaugurazione, cerchiamo di scoprire
di che stoffa era quest'uomo che, quando gli venne letta la sentenza di condanna
a morte, esclamò la famosa frase: "Forse voi che pronunciate questa sentenza
avete più paura di me che la subisco". Condusse un'esistenza che non può certo
definirsi noiosa!L'uomo - Nacque a Nola nel 1548,
figlio di un soldato di professione, nel 1565 entrò nell'ordine mendicante dei
domenicani predicatori cambiando il suo nome da Filippo in Giordano. Manifestò
subito una personalità inquieta, dotata di viva intelligenza e voglia di
conoscere. Ebbe difficoltà a conformarsi alle convenzioni dell'epoca ed alle
rigide regole dell'ordine religioso, esternando un notevole anticonformismo
intellettuale. Ciò non gli impedì però di fare una rapida carriera: ordinato
sacerdote nel 1572 divenne dottore in teologia nel 1575. Studiò San Tommaso
d'Aquino, ma anche il proibito Erasmo da Rotterdam (il divieto vigeva anche per
i testi ebraici), lettura che, quando venne scoperta, causò l'apertura di un
processo a suo carico. Nel 1576 si allontanò da Napoli, abbandonando l'abito
ecclesiastico, per sfuggire ai rigori dell'Inquisizione che si era già
dimostrata alquanto efficiente nel perseguire gli eretici. Soggiornò in Italia
settentrionale, raggiunse la Francia e poi Ginevra dove insegnò alla locale
università e aderì al calvinismo. Processato perché accusato di aver diffamato
un docente calvinista di filosofia che aveva commesso venti errori in una
lezione, Bruno ammise la sua colpevolezza, ma dovette comunque lasciare
Ginevra.
Giunse a Tolosa dove ottenne un posto come lettore all'università.
Nella zona infuriava la guerra tra Cattolici e Ugonotti. Si recò a Parigi, dove
fu nominato lettore straordinario alla Sorbona e pubblicò varie opere tra le
quali la commedia in lingua italiana
Il candelaio. Nel 1583 lo troviamo
in Inghilterra insieme all'ambasciatore francese dove pubblicò
La cena delle
ceneri, De la causa, principio et uno, ecc. Ottenne di insegnare ad Oxford
la nuova cosmologia copernicana, ma fu accusato di plagio e dovette ritornare a
Londra dove pubblicò altre importanti opere tra le quali
De infinito,
universo et mondi, De gli eroici furori.
Tornò in Francia dove le sue
tesi fortemente antiaristoteliche lo coinvolsero in nuove dispute accademiche e
fu quindi costretto a lasciare il paese.
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Giordano Bruno, il frate che
preferì la morte per non tradire le proprie idee
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Si recò in Germania e in Europa orientale
dove pubblicò opere di filosofia, cosmologia, fisica, arte della memoria e
tecniche magiche. A Praga aderì al luteranesimo, ma fu poi scomunicato.
Il
filosofo critica duramente alcuni aspetti della religione cattolica che gli
appaiono frutto di pura superstizione. Considera la confessione calvinista
intransigente e ancora più pericolosa e fanatica di quella cattolica. Esalta il
lavoro come attività e l'amore per la ricerca della verità. Bruno auspica la
diffusione della filosofia come rimedio ai mali dell'umanità della sua epoca.
Bruno ha dedicato la sua vita allo studio ed alla ricerca della conoscenza,
è un uomo di vasta cultura e di grande memoria; si può considerare tra gli
uomini più colti del suo tempo. Il suo comportamento anticonvenzionale aveva
però, in varie occasioni, generato odio tra le persone che la pensavano
diversamente.
E' contro il geocentrismo tolemaico ed afferma l'infinità
dell'universo che non ha centro; ogni suo punto è al tempo stesso centro e
periferia. Il centro ha senso solo se considerato in relazione di un punto di
vista particolare; nega quindi l'esistenza di qualsiasi posizione privilegiata.
I tempi non erano ancora maturi per accogliere le sue idee.
In un certo senso
può essere considerato anche un precursore di Internet, dove centro e periferia
sono nozioni puramente relative. La Rete delle reti è dotata di un'architettura
aperta modellabile secondo le esigenze del ricercatore.
Nel trattato
De
infinito, universo et mondi l'eresia è ravvisata, tra l'altro, quando
Bruno, parlando dell'intero universo, non vi include Dio. Tornò a Francoforte,
dove nel 1591 ricevette un insolito invito a Venezia dal nobile Giovanni
Mocenigo che desiderava imparare l'arte della memoria. In quell'epoca la
Repubblica di Venezia era ancora uno stato indipendente. Bruno sentiva,
probabilmente, l'ostilità della chiesa riformata, di quella cattolica, di essere
inviso ai puritani e indesiderato a livello europeo. Spinto anche dal desiderio
di rivedere la sua terra di origine e confidando nella gelosa autonomia della
Serenissima accettò la proposta. Sottovalutò ingenuamente i rischi di un suo
rientro nella penisola e non immaginò quello che stava per accadergli.
Dopo
alcuni mesi, il Mocenigo, insoddisfatto dell'insegnamento di Bruno, lo denunciò
all'
Inquisizione veneziana accusandolo di eresia. Il processo,
tuttavia, sembrava favorevole ad un'assoluzione per Bruno, ma la
Congregazione del Sant'Uffizio, desiderosa di saldare i conti in
sospeso, chiese la sua estradizione a Roma. Il Senato veneto dapprima rifiutò,
poi cedette. Il 27 febbraio del 1593, Bruno terminò così il suo peregrinare
europeo in una cella del nuovo palazzo del Sant'Uffizio a Roma (sito nei pressi
di porta Cavalleggeri).
Nell'autunno del 1593 il processo subì una svolta
fatale, disperata. Un frate cappuccino, Celestino da Verona, compagno nel
carcere di Venezia quale eretico , forse posseduto da segreta invidia, lo accusa
gravemente di eresia chiamando in causa altri tre testi che confermano in parte.
Lo studio delle opere di Bruno per raccogliere i capi di accusa fu svolto dal
gesuita Cardinale Roberto Bellarmino. Gli furono contestati anche i suoi
comportamenti e gli stili di vita (aveva soggiornato in paesi eretici, vivendo
secondo il loro costume).
Sul soglio pontificio vi era allora papa Clemente
VIII (Ippolito Aldobrandini, nato a Fano), intransigente nell'applicare quanto
stabilito dalla Controriforma nel concilio di Trento, nonché fautore di una
politica repressiva contro gli eretici e gli ebrei. I colpi inferti al metodo
scientifico moderno ed alla separazione degli ambiti disciplinari avrebbero
creato un notevole distacco tra la cultura italiana e quella europea.
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Il frontespizio di uno dei
più importanti libri di Bruno |
Subì sette
anni di carcere duro, un lunghissimo processo, numerosi e interminabili
interrogatori nonché almeno una volta la tortura. Nonostante ciò Bruno rimase
coerente con se stesso e fedele alle proprie ragioni; non accettò mai di
rinnegare in blocco le sue idee giudicate radicalmente incompatibili con
l'ortodossia cristiana. Le richieste di udienza con il Papa non furono accolte;
Bruno perse ogni speranza nella clemenza pontificia. Il filosofo, in ultimo, ha
forse creduto che il sacrificio della vita sarebbe valso ad una maggior
diffusione delle sue idee. Un altro grande personaggio aveva anticipato il suo
destino: Michele Serveto, umanista e medico spagnolo, scopritore della
circolazione polmonare del sangue, uomo dal carattere impetuoso ed irruento. Il
Serveto, a causa delle sue posizioni antitrinitarie, fu arso vivo a Ginevra il
27 ottobre 1553, vittima dell'intransigenza ed intolleranza religiosa del
riformatore Giovanni Calvino.
Anno Santo 1600, 8 febbraio: Giordano Bruno è
condannato al rogo come eretico impenitente e ostinato ed espulso dalla Chiesa;
le sue opere vengono bruciate sulla scalinata di Piazza San Pietro e inserite
nel "Indice dei libri proibiti". Viene quindi consegnato al braccio secolare che
esegue materialmente le sentenze del Sant'Uffizio (
Ecclesia abhorret a
sanguine).
All'alba di giovedì 17 febbraio 1600 lascia la prigione di
Tor di Nona, viene condotto in processione tra una folla vociante fino a piazza
di Campo de' Fiori. Indossa il
sanbenito, un saio penitenziale, ha una
mordacchia che gli impedisce di parlare (come dice un avviso: "Per le brutissime
parole che diceva") ed è accompagnato dalle litanie dei frati. Sale al rogo con
grande coraggio e dignità viene denudato, legato ad un palo e arso vivo. Sarà
ricordato nei secoli come un martire del libero pensiero e dell'intolleranza
religiosa.
L'inaugurazione del monumento - Sabato 12 giugno
1909, ad opera di 64 cittadini, fu costituito a Caldarola un comitato "per un
ricordo a Giordano Bruno". Tra i promotori dell'iniziativa alcuni caldarolesi
residenti a Newark (USA). Presidente onorario del comitato era il dott. Leopoldo
Sabbatini segretario generale della Camera di Commercio, vice presidente il
maestro Antonio Buscalferri, sergente garibaldino di Esanatoglia, tra i
consiglieri l'ingegner Filippo Amici.
Si voleva ricordare colui: "… che volle
svelare il gran mistero che avvolgeva la natura, scardinando con vigorosa
dialettica la concezione geocentrica e la fantastica impalcatura dogmatica della
Chiesa".
Domenica 3 settembre 1911, data dell'inaugurazione, fu una
soleggiata e splendida giornata che registrò una notevole partecipazione di
liberi pensatori. Aprì il numeroso corteo la banda musicale di Macerata diretta
dal maestro Ottino Ranalli, seguita dai garibaldini in divisa. Parteciparono,
tra gli altri, rappresentanti di associazioni culturali in onore di Giordano
Bruno, circoli repubblicani,
Reduci Patrie Battaglie (non si chiamavano
ancora
Combattenti e Reduci),
Società Operaie di Mutuo
Soccorso della provincia.
L'effigie di bronzo, il volto serio e pensoso
del filosofo sovrastante un drago, fu opera dello scultore Ettore Strolin di
Fano. Il discorso venne pronunciato dall'avvocato caldarolese Vincenzo Amici e
dall'oratore Francavilla che fece una requisitoria energica e
convincente.
Pur non presenti, aderirono alla manifestazione con telegrammi e
lettere anche numerose personalità da tutta Italia.
Qualcuno del comitato di
onoranze si lamentò che il consiglio comunale, a suo dire composto da "clericali
purosangue", concesse solo la modesta somma di lire 50 e si disinteressò in
parte alla manifestazione. Ma questa giornata di ricordo a Giordano Bruno ebbe
anche un seguito.
Il seguito - Nella successiva domenica 10
settembre 1911, il preposto Nazareno Cervigni nella chiesa collegiata di San
Martino di Caldarola, pronunciò un lunghissimo, articolato e infiammato
discorso-predica ai fedeli ivi convenuti per la S. Messa.
el discorso si
criticava i promotori dell'iniziativa, nonché coloro che la settimana precedente
avevano partecipato alla cerimonia d'inaugurazione della lapide. Il prelato cita
più volte Papa Leone XIII il quale aveva definito Bruno: "… Uomo doppiamente
apostata, convinto eretico, ribelle fino alla morte all'autorità della
Chiesa…".
Proseguì la sua accesa invettiva con: "… uomo indegno di questo
nome pel quale tutto era lecito quanto era caro ai sensi guasti e corrotti. … Se
dalle loro tombe sorgessero e mirassero tanta vergogna le figure gloriose del
Cardinale Evangelista Pallotta, e del Beato Francesco, giustamente ne
fremerebbero d'ira, e ne domanderebbero riparazione solenne!".
Sono trascorsi
400 anni dal tragico rogo, siamo nel 2000, il cardinale Angelo Sodano, anche a
nome del Papa Giovanni Paolo II, scrive che la condanna di Giordano Bruno: "…
costituisce oggi per la Chiesa un motivo di profondo
rammarico".